“Gli angoli bruciacchiati” di Adriana Porto: catarsi in 11 racconti

Fiera del Cicloturismo 2024 | Adriana e i suoi angoli bruciacchiati

Scritto da fra.cycloergosum

Cantastorie, storyteller, bikepacker e viaggiatore incallito. Folle ideatore del motto "Cyclo Ergo Sum" (pedalo quindi sono), frullatore impazzito in salita, sussurra spesso ai Mucchinyyy incitandoli a gettare al cielo Sulemanyyy.

17 Aprile 2024

Gli angoli bruciacchiati di Adriana Porto, ricerca di catarsi

Di catarsi (κάθαρσις), inteso come rito magico della purificazione, inteso a mondare il corpo e l’anima da ogni contaminazione, siamo tutti alla ricerca. Spesso viaggiando, quando pedalando cerchiamo nuove mete insieme a vecchi e nuovi amici, e un po’ troviamo o ritroviamo noi stessi.

E di catarsi sicuramente ne sapevano molto gli antichi greci. Che fosse nella religione prima o nella tragedia poi, per arrivare ai giorni nostri alla psicanalisi, vogliamo tutti un po’ di catarsi, abbiamo bisogno di rinascere, di ripulire il nostro sé.

Adriana Porto, nella sua prima opera di recente uscita chiamata “Gli angoli bruciacchiati”, ha voluto immedesimarsi in dieci donne e rielaborare in una raccolta di racconti incluso il proprio le loro personalissime storie. Ha voluto la catarsi, per sé e per le sue dieci protagoniste, con le quali ha condotto un profondo lavoro di ascolto empatico e immedesimazione, in un esercizio stanislavskico di identificazione, con Serena, Elena, Iolanda, Valentina, Elena, Francesca, Debora, Enrica, Elisa e Rita.

Ogni racconto è stato realizzato da Adriana con un fitto lavoro di intervista e conoscenza delle sue interlocutrici, cui è seguita una fase di rielaborazione e di costante confronto con le dieci protagoniste, fino a raggiungere la forma completa, oggi disponibile per la lettura.

Gli angoli bruciacchiati
  • Porto, Adriana (Autore)

Sinossi dell’opera Gli angoli bruciacchiati

Avete presente quando, nelle scene di alcuni film, lo scrittore stanco e avvilito getta nel camino il manoscritto e subito dopo lo raccatta esclamando: «Il mio bambino, come ho potuto?». Le storie narrate in questo libro le immagino come tanti libri lanciati in un camino da uno scatto d’ira della vita. Un gesto che ha lasciato su di loro segni indelebili, ma che non ha cancellato ciò che davvero raccontano. Ho voluto salvare dalle fiamme tutte queste storie per riportarle al loro antico splendore e per dar loro la possibilità di volare per l’eternità. Undici storie di donne che hanno lottato per realizzare i propri sogni, undici storie di donne dagli “angoli bruciacchiati”.

La raccolta avvicina racconti veri, di donne diverse tra loro, con una storia unica che merita ascolto, tutte accomunate dalla voglia di riscatto. Tra le pagine de “Gli angoli briciacchiati” si parla di maternità, emancipazione, lutto, rinascita, incertezze, di vita. Non una passeggiata, quindi, bensì temi complessi, che richiedono grande attenzione e ascolto e che non si leggono con leggerezza, perché fanno pensare – quella pratica cui ormai siamo forse poco abituati.

Ho conosciuto Adriana, non solo autrice ma anche viaggiatrice, in una delle numerose occasioni legate al mondo della bici, come il Festival del Cicloturismo. Con naturalezza l’interesse per la sua opera mi ha condotto a leggere quest’opera e porle qualche domanda, per conoscerla meglio e fartela conoscere meglio.

Ecco l’intervista ad Adriana

Come è nata l’idea di questo libro?

L’idea del libro è nata grazie a una serata organizzata presso Ciclocentrico. Serena Cugno e un mental coach, durante una serata CCPink, si sono adoperati per mettere insieme un gruppo di donne cicliste, per riuscire a estrapolare le emozioni che provano in sella alla propria bicicletta. Mentre stavo lì a sentire le storie, mi sono emozionata e ho pensato che sarebbe stato bello racchiuderle in un volume. Ho sempre amato scrivere e lo faccio da tutta la vita; quindi, ho pensato che fosse il momento di fare qualcosa di concreto.

Perché si chiama Gli angoli bruciacchiati?

Durante il turno di notte, a lavoro, la mia mente viaggia e mi vengono le idee migliori. Poco tempo fa, un mese prima della pubblicazione, ho scritto un messaggio a mio fratello che vive in Australia perché mi sentivo sopraffatta dallo sconforto e ironizzando è partito il melodramma del manoscritto gettato tra le fiamme. Riguardando il messaggio mi è venuta l’idea del titolo e il legame con le storie salvate dal silenzio che, pur essendo colme di cicatrici e crepe, meritavano di essere raccontate.

Come hai selezionato le persone per la raccolta dei racconti?

Direi per selezione naturale. Le storie sono arrivate senza dover scegliere: vogliamo chiamarlo caso? Destino? Tutto è stato talmente naturale che stento ancora a crederci. Spesso la vita ti dà ciò di cui hai bisogno, se sai coglierne i segnali.

Hai trovato impegnativo immergerti nel profondo delle loro vite?

Immergermi nelle vite degli altri e coglierne le sfumature non è mai stato impegnativo per me, mi viene naturale, sono un’ottima ascoltatrice. Non permettere a queste di sopraffarmi, invece, è molto più complicato e fonte di malessere. Grazie a questo lavoro di assorbimento della storia e di scarico su carta sono riuscita a gestirla meglio. Ho imparato come trasformare la mia maledizione, l’eccesso di empatia, in qualcosa di utile.

Come hai confezionato ogni singola storia?

Si tratta di 10 interviste a donne, dove sono partita da un approccio con la persona, obbligatoriamente in presenza, dove avevo bisogno di percepire le emozioni, lo sguardo, il linguaggio del corpo. Le interviste sono state amichevoli, l’ironia è stata protagonista. Durante le interviste con le protagoniste sono riuscita con poche domande a deviare il discorso sugli elementi fondamentali per la storia. In modo da non perdersi troppo in discorsi esterni. Anche se qualche volta il giro di parole intorno al cuore del discorso era fondamentale. Il registratore era presente ma non invasivo, poiché dopo qualche minuto veniva dimenticato.

In un secondo momento il tutto veniva sbobinato su carta. Seguivano poi dei giorni di riflessione per far sì che la storia nascesse, durante i quali mi immergevo del tutto nella vita della persona, cercavo di pensare come lei. Mentre camminavo, ad esempio, pensavo: cosa farebbe lei adesso? Questa è stata la parte più difficile e che richiede maggior tempo. Poi magicamente la storia arrivava con introduzione, cuore e conclusione. Per scriverne ciascuna ci ho impiegato circa due giorni.

Revisioni su revisioni, di una persona di fiducia che vagliava l’emozione che ne scaturiva e il tutto veniva inviato alla protagonista. Dopo il giusto tempo di lettura, metabolizzazione e lacrime, venivano effettuate le modifiche e il racconto completo veniva rimandato alla protagonista. Altre lacrime e la storia era pronta. Il tempo di elaborazione totale per ogni storia è stato di un mese.

Hai ricevuto commenti da lettori e lettrici? Come sta andando la promo?

A due mesi dalla pubblicazione i commenti sono tutti positivi; non ho ancora provato quel brivido della recensione negativa che ti sotterra per qualche giorno. La prima presentazione al Bicierin è stata un successo, con circa 70 presenti. E poi sono usciti articoli su giornali locali e ho registrato tante vendite. Siamo ancora all’inizio, ma ho già molte date di incontri ed eventi per la prossima primavera/estate.

Come hanno reagito nel vedere la storia le protagoniste?

Risponderò a questa domanda con il commento di una di loro: “Adri, hai colto cose di me che nemmeno io riesco ad ammettere a me stessa”.

Perché hai scelto solo donne?

Solo donne perché il lavoro di immersione nella storia al momento è troppo complicato per me da ideare nei panni di un uomo. Sono donna, e questo mi aiuta a comprendere meglio una donna, anche se non è scontato. Ma ho acquisito esperienza e questo non esclude che in futuro io possa fare lo stesso con un gruppo di uomini.

Il tono delle storie è differente. Che messaggio vuoi dare con il tuo libro?

Il tono delle storie è differente perché sono vite differenti. È un lavoro altamente complesso ma che credo mi sia riuscito bene. Il messaggio del libro è quello di non arrendersi mai, che c’è sempre tempo per riprendere in mano ciò che si è davvero, che il cambiamento spaventa ma a volte è necessario. Stare fermi ad aspettare non ci porterà alla realizzazione dei nostri sogni. Un passo avanti è sempre l’inizio di qualcosa di meraviglioso. È troppo complesso pensare all’intero percorso, ma il singolo passo può davvero cambiare ogni cosa. Ci vuole coraggio a raccontarsi e le donne dagli “angoli bruciacchiati” ne hanno avuto da vendere.

Non solo autrice ma anche viaggiatrice in bici e non solo, quando hai scoperto questa passione? Come è iniziato tutto?

Dopo la maturità il mio lavoro mi ha permesso di scollare le radici dalla casa d’infanzia, e questo mi ha portata a trasferirmi prestissimo in varie parti d’Italia. “Il mondo è troppo grande e la vita troppo breve”, una frase scontata ma che rappresenta tutto ciò in cui credo: la paura di sprecare il mio tempo in azioni abitudinarie e prive di emozioni mi ha spinto a cercare sempre oltre la punta del mio naso. I primi anni ho girato l’Europa, in solitaria o con un amico al massimo, zaino in spalla, prima per qualche giorno poi per periodi più lunghi e in luoghi più lontani: Irlanda, Marocco, Cambogia, India. Quando mio marito è entrato a fare parte della mia vita, ho compreso che quell’affare infernale con due ruote e pedali, che io odiavo tanto, sarebbe stato parte del pacchetto. Luigi mi ha mostrato la gioia che questo mezzo poteva portare alla vita delle persone. Ho accolto la bici e mio marito in contemporanea e, presto, è scattato l’amore per entrambi.

Che consiglio potresti dare alla te stessa che iniziava a viaggiare?

Non credo di voler dare consigli alla viaggiatrice che ero. Oggi sono perché tempo fa ero. Ma posso dire che oggi, a differenza della giovane Adriana, non ho più fretta di arrivare, mi godo di più il percorso. Ma credo che questo accada a tutti, nel corso della vita, perché si cresce e si gustano di più i momenti che sappiamo non torneranno. Magari facciamo follie più grandi, ma le facciamo più lentamente.

Dove hai viaggiato in bici e quale ricordo rivivi con più piacere? Perché?

Il primo vero viaggio in bici non si scorda mai. Personalmente avevo fatto al massimo tre giorni in viaggio e abbiamo deciso di partire per la Via Francigena dalla Val di Susa a Roma. Mi sono rotta una vertebra cadendo da cavallo a due mesi dalla partenza, Luigi ha avuto una crisi di artrite reumatoide e aveva il ginocchio fuori uso. Eravamo disperati. A una settimana dalla partenza ci siamo guardati e abbiamo deciso che non avremmo mollato. Zero allenamento, avevo tolto il busto due settimane prima, muscolo lombare assente. Luigi men che meno. Carichiamo tutto e partiamo. Il risultato? 2000 km. Perché non solo siamo arrivati a Roma ma abbiamo proseguito fin sull’Etna. Quindi chilometri raddoppiati e felicità estrema. Ma questa… è un’altra storia.

Quali sono i prossimi viaggi in programma?

Ottobre mi metterà alla prova: Luigi sono sicura non avrà problemi. Andremo in Perù per attraversare le Ande, siamo ancora in fase di preparazione della traccia, ma abbiamo già prenotato il volo.

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Gli angoli bruciacchiati
  • Porto, Adriana (Autore)

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